domenica 18 maggio 2008

LE CITTA' DEGLI ANGELI


Racconto breve scritto nel maggio 2008 per la rivista “Miele”


Un tiepido vento d'estate leniva la canicola che divampava da un cuore di cemento. Scolpisco, con un battito d'ali, ricordi di grattacieli infiniti, così alti che non ne vedevo la fine, e gli occhi si perdevano nel cobalto.

Un tempo ero una piccola creatura inghiottita da un universo incomprensibile che si attorcigliava intorno ai miei respiri. Rumori, trambusti, sussulti, clamore insopportabile. Ed io, naufrago aggrappato a zattere di nuvole e cielo, sognavo di volare via da quella prigione di lucida follia.

Una mano grande e calda mi trascinava lungo sentieri indecifrabili fatti di metallo e pietra rovente, mentre un brulichio sommesso e incessante mi rimbombava nelle orecchie.

Che cosa c'è in questi dedali plumbei e convulsi? Pezzi di uomini che si dimenano, si scompongono e si ricompongono in una giostra sconcertante e misteriosa.

Sono tutte uguali le necropoli degli esseri umani, qui come in qualsiasi altro agglomerato di artificialità. Tutte uguali le facce, tutte uguali le illusioni. Le solitudini sono appiccicate insieme con calce e malta, per creare una somma incontenibile e mastodontica di solitudini ancora più insanabili, perchè essere circondati da occhi trasparenti e consistenze inconsistenti è ancor più lacerante che trincerarsi dentro il proprio guscio di cristallo infrangibile.

Un giorno, finalmente, volai via. Come una foglia leggera alla prima brezza d'autunno, come lieve foglio di carta strappato da un libro per andare a comporre e inventare un'altra storia, un'altra vita possibile al di là della vita stessa. Divenni evanescente, come sguardo che si perda dentro laghi di leggerezza, eppure più reale di prima.

Ciò che un tempo mi tramortiva e mi sovrastava, ora è nelle mie mani, e posso plasmarlo e trasformarlo a mio piacimento. Non per farmene beffe, non per usarlo come superfluo gingillo alla mercè di un capriccio, ma per cospargerlo di sogni e di luce.

Le mie ali si dispiegano sopra minuscole distese di grigiore, e da esse un pulviscolo di sfavillanti colori si sprigiona e avvolge quei parallelepipedi regolari, come danza di pioggia. E dal silenzio del rumore: un tripudio di musica. Dalle buie maree di torbide solitudini: un fragore assordante di gioia e magia.


Chiara Manganelli


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