domenica 12 luglio 2009

L'ARTE COME ESPRESSIONE DELLA SPIRITUALITA'

“I filosofi sono in qualche modo pittori e poeti, i poeti sono pittori e filosofi, i pittori sono filosofi e poeti.”
Giordano Bruno, “Explicatio triginta sigillorum”
“La nostra anima si sta risvegliando da un lungo periodo di materialismo, e racchiude in sè i germi di quella disperazione che nasce dalla mancanza di una fede, di uno scopo, di una meta. Non è ancora svanito l'incubo delle concezioni materialiste, che consideravano la vita dell'universo come un gioco perverso e senza peso. L'anima si sta svegliando, ma si sente ancora in preda all'incubo. Intravede solo una debole luce, come un punto in un immenso cerchio nero.”

Wassily Kandinsky, “Lo spirituale nell'arte”
L'arte è da sempre espressione dell'ineffabile, è un insieme di simboli e archetipi universali, è il principale mezzo ermeneutico per decifrare la realtà che ci circonda in chiave metafisica. Essa attinge i suoi codici dal mondo fenomenico e tangibile, ma poi li trasforma e li arricchisce, operando un processo di ridefinizione semantica che conduce a scoprire significati nuovi racchiusi dietro significanti noti.
La valenza esoterica dell'arte (nel senso greco del termine, cioè come rivelazione del significato nascosto delle cose) è nota fin dall'antichità. E spesso sacralità e arte viaggiano di pari passo.
Il legame indissolubile tra misticismo, simbolismo e immagine è largamente presente nelle filosofie gnostiche e teosofiche.
Nella Cabala ebraica, ad esempio, l'unità di Dio si manifesta nelle sue Sefirot, espresse mediante l'uso di immagini simboliche ricorrenti, spesso attinte dalla tradizione del mito. Nella loro totalità le Sefirot formano “l'albero dell'emanazione”, che cresce verso il basso dalla radice, e che, a partire dal XIV secolo, veniva raffigurato come un diagramma contenente i simboli fondamentali di ogni Sefirah (basati su immagini matematiche e organiche). In alcune interpretazioni le Sefirot venivano rappresentate come sfere concentriche, mutuando la concezione cosmologica medievale di un universo composto da dieci sfere.
Altrettanto affascinante è lo studio della gematria (o permutazione numerica), che permette di scoprire correlazioni, analogie e nessi nascosti, poiché ogni parola ha un valore numerico equivalente alla somma dei valori numerici delle lettere che la compongono, e dunque una parola può essere sostituita da un'altra con lo stesso valore numerico. L'artista compie un processo molto simile a questo, svelando così i significati occulti che si celano dietro la superficie delle cose.
D'altronde una realtà interiore che trascende la nostra percezione immediata può essere espressa solo attraverso un insieme complesso di allegorie e simboli; e il modo più immediato e pregnante per rendere fruibili tali simboli è quello di rappresentarli visivamente.
In molte culture antiche, come ad esempio nell'Egitto dei Faraoni, la realtà percepibile non era altro che il riflesso di una realtà più profonda, nascosta e invisibile, e compito precipuo dell'arte era quello di interpretare e rendere intelligibile questa realtà latente. La spiritualità permeava ogni cosa, ogni aspetto della vita, era un fatto collettivo e sociale, e scienza, arte e spiritualità non erano in antitesi, bensì intimamente connesse e interdipendenti.
Max Heindel rende molto bene questo concetto ne “La Cosmogonia dei Rosacroce”:
“La vera Religione comprende tanto la scienza che l’arte, poiché essa insegna a trascorrere una vita equilibrata, in armonia con le leggi della Natura. La vera Scienza è artistica e religiosa, nel senso più elevato della parola, perché essa c’insegna a rispettare e ad osservare le leggi che governano il nostro benessere e ci spiega perché la vita religiosa conduca alla salute ed alla bellezza fisica. La vera Arte è educativa quanto la scienza, e la sua influenza è grande, quanto quella della religione. [...] La scultura, la pittura, la musica e la letteratura, c’ispirano il sentimento della bellezza trascendente di Dio, sorgente immutabile e meta di questo meraviglioso Mondo. Nulla, all’infuori di un così universale insegnamento, potrà mai rispondere in maniera permanente ai bisogni dell’umanità. Vi fu un tempo in cui, in Grecia, la Religione, l’Arte e la Scienza erano insegnate congiuntamente nei Templi dei Misteri".
Max Heindel, “La Cosmogonia dei Rosacroce”
La contrapposizione inizia a profilarsi con l'Umanesimo e il Rinascimento, per consolidarsi definitivamente con la nascita della scienza moderna e dell'epistemologia scientifica, in particolare a causa dell'approccio razionalista propugnato da Cartesio, che influenzerà tutto il pensiero scientifico e filosofico fino al XVIII secolo.
Dunque la visione panteistica, olistica ed esoterica propria delle culture antiche è stata soppiantata, dal Rinascimento in poi, da un approccio positivista e materialista, che spesso ha ridotto l'arte a una mera rappresentazione del reale tout court.
A ciò si è aggiunta, soprattutto tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, in seguito alla nascita della psicologia moderna e della psicoanalisi freudiana, una tendenza a focalizzarsi maggiormente sulla soggettività, che ha portato a un solipsismo esagerato nel modo di concepire la spiritualità, conducendo la dimensione intrasoggettiva all'iperbole, a scapito di quella sociale.
Ma il Novecento è anche il secolo delle “sovversioni” artistiche e delle avanguardie (Futurismo, Cubismo, Scuola Metafisica, Surrealismo), della riscoperta di quel senso profondo, arcano ed esoterico che si cela dietro la realtà immanente e apparente, e che l'arte tenta di svelare e scandagliare.
E quale altro colore meglio dell'indaco può incarnare e richiamare il concetto di spiritualtà?
Nelle filosofie tradizionali indiane esso è associato al sesto Chakra (Terzo Occhio di Shiva), che rappresenta l'intuizione, l'elevazione spirituale e la capacità di “vedere oltre”.
Nella simbologia religiosa islamica l'indaco denota prestigio e nobilità.
E indaco sono detti i bambini “eletti”, gli esseri illuminati chiamati a scardinare la struttura del mondo conosciuto per condurre l'umanità a uno stadio di coscienza suprema.
Questa mostra accoglie e raccoglie la sensibilità artistica di quindici artisti italiani (tredici pittori, una poetessa e un fotografo), ognuno con caratteristiche espressive e concettuali squisitamente personali e uniche, ma tutti con un comun denominatore: il desiderio di comunicare, attraverso l'arte, il proprio universo interiore e spirituale, per giungere, come direbbe Giordano Bruno, agli “infiniti universi et mondi”.
Perchè l'artista è un demiurgo (nel senso platonico del termine) che, come affermò Arthur Rimbaud, deve farsi veggente.
“Lo spettatore che accoglie l'euritmia solo come godimento artistico non ha affatto bisogno di conoscerne le leggi, come non è necessario conoscere contrappunto o armonia o altre teorie musicali per godere la musica. Ciò è ovvio per il godimento artistico di ogni arte, poiché è insito nella natura umana che l'uomo sanamente dotato possieda a priori quelle facoltà artistiche necessarie per accogliere l'arte che, in quanto arte, agisce per forza propria.
Chi però, eseguendo l'euritmia, ha il compito di porla dinanzi al mondo, deve penetrarne l'essenza, come il musicista, il pittore e lo scultore devono penetrare nell'essenza della propria arte.”
Rudolf Steiner, prima conferenza sull'euritmia come parola visibile, 24 giugno 1924.

MARE DI PAROLE, OCEANI DI COLORI

“Ecco, tu sai che la poesia è creazione e ha un significato quanto mai vasto; tutto ciò, infatti, per cui qualcosa passa dal non essere all'essere è poesia, e quindi ogni attività creativa è poesia, e tutti i creatori sono poeti”
Platone, Simposio

“Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare”
Jorges Luis Borges


Un mare.
Mare che si muove articolando sussurri e si intreccia alle sferzate del vento di libeccio.
Mare che nella notte inghiotte e intrappola tra reti di fioche lampare i sogni sospesi nel cielo, e li rigurgita all'alba sull'orlo iridescente della battigia, accoccolati tra le insenature eburnee delle conchiglie.
Sulla sua superficie irrequieta si increspano e incespicano orde di desideri che si accartocciano e si avviluppano tra loro, precipitano affondando tra gli abissi, per poi risalire coperti di salsedine e fradici di azzurro.
Le voci mute dei pesci guardano i pionieri temerari che si avventurano nell'imprevedibile languore del suo mistero come fossero schivi schiavi di romitaggi paradossali senza fine.
Le parole sono come sassi piatti che spezzano la quiete immobile, disegnando anelli concentrici dentro i quali si insinuano gli sguardi obliqui e audaci di segreti che sgranano tra le pupille lapilli di bellezza suadente e silente.
Una mano raccoglie le conchiglie sparse sulla sabbia, le ausculta, le strofina ripulendole dai detriti, le nutre di sole e le ripone dentro uno scrigno sommerso. Lì il tempo le consuma, ne divora l'involucro calcareo, fino a lasciarne intravvedere la loro anima nascosta. Quando la mano apre lo scrigno si sprigionano spirali di colori cangianti e fiumi di parole incandescenti.
Fiumi che portano al mare. Spirali che si arrampicano fino al cielo.


VOYELLES

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali!
Un giorno dirò le vostre segrete origini:
A, nero vello sul corpo di mosche splendenti
Che ronzano intorno a crudeli fetori,

Golfi d'ombra; E, candori di vapori e tende,
Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle;
I, porpora, rigurgito di sangue, labbra belle
Che ridono di collera, di ebbrezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
Pace di pascoli d'animali, pace di rughe
Che l'alchimia imprime sulle ampie fronti studiose;

O, suprema Tromba piena di strani stridori,
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
O, l'Omega, raggio viola dei suoi Occhi!

Arthur Rimbaud



“Mare di parole” è l'ultimo progetto artistico di Ciro Palumbo. Un progetto che mescola risonanze letterarie e metafisica pittorica, creando interessanti e suggestive commistioni concettuali, stilistiche e tecniche.
Le parole, nelle opere di Palumbo, diventano supporto su cui distendere e dipanare la fantasia. Un mare placido e accogliente di segni impalpabili, ricolmi di significati e ammiccamenti. Palumbo prende le parole e le ri-racconta, le ri-combina, rifacendosi a una lunga tradizione artistica che vede nel Novecento il secolo della “poesia visiva”, in cui le parole diventano anche immagini, slittando verso nuovi orizzonti semantici, e vengono arricchite e impreziosite attraverso la pittura, la cinematografia e le arti visive.
Una tradizione che vede il proprio geniale antesignano in Arthur Rimbaud, nella sua poesia veggente, struggente e ruggente, nelle sue vocali che acquistano valenze emozionali e cromatiche. Perchè la letteratura non interessa solo il senso della vista, ma solletica e risveglia anche gli altri sensi.
Il legame tra immagine e parola è atavico e affonda le proprie radici nella culla della civiltà: i geroglifici egizi sono un esempio di come, in molte società antiche, immagine e scrittura fossero intrinsecamente connesse. Il nostro alfabeto occidentale moderno, invece, contiene grafismi che non hanno nessun nesso con le immagini mentali, e il segno è una pura convenzione concettuale e autoreferenziale, che non rimanda a nessun codice visivo noto. Un astrattismo estremo, dunque, che ha creato, nella nostra cultura, un divario enorme tra linguaggio e rappresentazione.
Palumbo prosegue un cammino intrapreso dai futuristi e ricalcato poi dai surrealisti, dai dadaisti e dalla pop art. Riprende l'affascinante tradizione del calligramma, un genere di poesia che risale all'antichità classica (il tecnopegnio di Simmia di Rodi, IV sec. a.C), che si sviluppa nei secoli XV e XVI, con la poesia figurativa umanista, fino ad essere ripreso dalle avanguardie artistiche del novecento, e che trova in G. Apollinaire uno dei suoi più celebri esponenti.
Questo genere letterario coniuga esigenze dialogiche e risonanze figurative, assemblando i significanti in modo da creare architetture grafiche bizzare e bizzose, dando vita a un “versilibrisme” affascinante e paradossale.
Nelle tele di Palumbo non ci sono cannoni che sputano lettere, come in G. Severini, nè vortici di parole, come in F. Depero; la sua poetica si differenzia dal movimento futurista, sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista formale, perlustrando diverse sfaccettature del binomio pittura-letteratura.


“Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non perdoni.
La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l'antico fanatismo umano. Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima. Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso. Ridurre l'immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene sommariamente chiamato felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi.”

André Breton, Manifesto del Surrealismo


Nelle opere dell'artista torinese la letteratura si veste di un senso mistico e onirico, è un ordito che intesse ancestrali memorie, miti e leggende, è una chiave per aprire le porte socchiuse dell'inconscio e del Sogno. La parola non è esplosione fragorosa, gioco dinamico e concitato, ma diventa simbolo lieve che si affaccia sulla realtà interiore piuttosto che sulla realtà esteriore, è forza centripeta anziché centrifuga, e rappresenta universi metafisici e surreali, che affondano le proprie radici nell'intimità dell'individuo, nel suo mondo segreto e nascosto, in bilico tra inconscio soggettivo e inconscio collettivo.
Letteratura e pittura si intersecano e attingono l'una dall'altra, giocano a rincorrersi, a specchiarsi reciprocamente, a scambiarsi stilemi e paradigmi, e l'intreccio che ne sortisce è un'alchimia suggestiva, evanescente, delicata.
La parola possiede anche una sua estetica visiva e formale, così come l'immagine racchiude in sé sprazzi di poesia e lirismo.


ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
i soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l'avara mia speranza.
A nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l'offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
Eugenio Montale, Ossi di seppia, Meriggi e ombre, Casa sul mare

Il connubio crea equilibrismi arditi, logiche dialogiche, contaminazioni che fondando un linguaggio nuovo, che non è solo sintesi degli elementi, ma qualcosa di più. Il potenziale espressivo non aumenta solo in termini quantitativi, ma anche, e soprattutto, sotto un profilo qualitativo.
L'impiego di collage di pagine di libri sulla tela crea un effetto visivo di stratificazione e sovrapposizione di pensieri, sogni, storie e immagini, che, concettualmente, rimanda a una radice originaria che restituisce senso al presente. E' un modo di raccontare, attraverso il potere evocativo della pittura, ciò che a volte sfugge all'affabulazione pura, di ampliarne l'effetto catartico e proiettivo e di incrementarne la forza narrativa.
Un mare di parole dipinte dove fluttuano i sogni, zattere salvifiche che dispensano riparo dalle tempeste; un mare dove si recupera il filo rosso dell'esistenza, dove lo spettatore può voltarsi e guardare da dove viene e al contempo, proprio in virtù di ciò, può immergersi negli abissi del proprio essere, nel proprio tumultuoso e magmatico oceano, intraprendendo un viaggio infinito e incessante, un'odissea epica, misteriosa e incalzante.
E se si riesce a oltrepassare Scilla e Cariddi significa che l'isola è vicina, che il tempo può essere ingannato, che il canto delle sirene non ha mistificato i desideri e offuscato la rotta.

“[...]
Sul mare salato
si posa la luce e sui campi
d'ogni parte fioriti, e la bella
rugiada discende e le rose
fioriscono e i cerfogli
delicati
e il meliloto spruzzato
di bianco.
[...]
Saffo, poesie d'amore, 96. V.


“Più di quanto sia lecito,
più di quanto sia possibile,
come
un delirio di poeta incombe nel sogno,
enorme si fece il groppo del cuore,
enorme l'amore,
enorme l'odio.”
[...]
Vladimir Vladimirovic Majakovskij


“Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro?”
Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia

“I nostri sogni e desideri cambiano il mondo”
Karl Popper

“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”
Seneca


La notte impone a noi la sua fatica
magica. Disfare l'universo,
le ramificazioni senza fine
di effetti e di cause ch si perdono
in quell'abisso senza fondo, il tempo.
La notte vuole che stanotte oblii
il tuo nome, i tuoi avi e il tuo sangue,
ogni parola umana e ogni lacrima,
ciò che potè insegnarti la tua veglia,
l'illusorio punto dei geometri,
la linea, il piano, il cubo, la piramide,
il cilindro, la sfera, il mare, le onde,
la guancia sul cuscino, la freschezza
del lenzuolo nuovo...
Gli imperi, i Cesari e Shakespeare
e, ancora più difficile, ciò che ami.
Curiosamente, una pastiglia può
svanire il cosmo e costruire il caos.

Jorges Luis Borges, Il sogno