venerdì 20 febbraio 2009

“MENO MALE” ALLE DONNE!


ARTE E IMPEGNO CIVILE SI INCONTRANO
AL TEATRO VITTORIA


Mercoledì 4 marzo 2009, alle ore 20.30, presso il Teatro Vittoria di Torino (Via Gramsci, 4), il Telefono Rosa di Torino, in collaborazione con l’atelier d’arte “Bottega Indaco” (http://www.bottegaindaco.blogspot.com/), presenterà una serata artistica di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, organizzata grazie al sostegno della Fondazione CRT e di Farmacuore, e patrocinata dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Torino e dalla Città di Torino.
Telefono Rosa, attivo a Torino da 16 anni, questa volta ha scelto una chiave nuova e originale per affrontare l’ostico e scabroso tema della violenza sulle donne: l’arte.
L’evento prevede una mostra di fotografie e quadri realizzati dagli artisti di “Bottega Indaco” (Ciro Palumbo, Akira Zakamoto, Claudia Giraudo, Laura Giai Baudissard, Cristina Gualmini e Angela Vinci), una performance teatrale della “Bottega dell’attore in viola” (diretta da Marzia Scarteddu), e un concerto di Antonello Aloise (pianoforte) e Linda Murgia (violoncello).
L’idea di organizzare questa serata “multiartistica” nasce dalle riflessioni emerse nel forum che il Telefono Rosa ha creato sul proprio sito in occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne (25 novembre 2008).
Da questa iniziativa sono nati interessanti spunti, utilizzati ed elaborati dagli artisti per creare le proprie opere e performance.
Attraverso uno spettacolo che mette in gioco diverse forme ed espressioni artistiche, si cerca, dunque, di denunciare e sottolineare questa tematica purtroppo ancora estremamente attuale, ma il taglio che si intende dare alla serata è propositivo e costruttivo.
Il comune denominatore di tutto lo spettacolo è il desiderio di mettere in luce gli aspetti positivi della femminilità, e non solo le ombre cupe e dolorose della violenza (psicologica e fisica) subita, dando risalto alla forza e alla “Bellezza” che ogni donna possiede, e che le permette di generare, rigenerare e rigenerarsi, per non essere mai sopraffatta e annientata dalla sofferenza e dall’aberrazione.
E auspichiamo un’evoluzione culturale, civile e sociale che porti davvero meno male.
Meno male che le donne racchiudono nella propria anima tanta Bellezza. Una Bellezza ontologica, sostanziale, profonda, tenace e potente, che permette alle donne di “farcela”, di risollevarsi e andare avanti, nonostante tutto.
E meno male che esiste l’arte, che perlustra e svela questa Bellezza, permettendoci di trasformare, creare e ricreare la realtà che ci circonda.

mercoledì 28 gennaio 2009

AKIRA ZAKAMOTO ESPONE ALLO SPAZIO 10 DI IVREA BAMBINI INDACO, ANTESIGNANI DEL CAMBIAMENTO UNIVERSALE


Sabato 13 dicembre 2008, presso il Centro Culturale Multimediale “La Serra” di Ivrea, è stata inaugurata la mostra personale di Akira Zakamoto “Bambini Indaco”, in collaborazione con l’associazione culturale “Spazio10”. In esposizione, fino al 6 gennaio 2009, undici quadri (oli su tela) del pittore torinese.

Durante la serata è stato presentato, da Pietro Abbondanza e Cristina Garavaglia, fondatori della casa editrice “Stazione Celeste”, il libro di Celia Fenn “L’avventura indaco-cristallo: bambini e adulti indaco e cristallo, i pionieri della nuova era”.

Spazio 10 (www.spazio10.it) è una realtà attiva sul territorio di Ivrea da circa cinque anni. Nasce nel giugno 2004 con l'intento di costituire uno spazio artistico polivalente dedicato all'arte contemporanea. I suoi associati, intendono incentivare la ricerca artistica attraverso l'ideazione di progetti che esulino dal circuito commerciale dell'arte istituzionale, per creare invece opportunità di sviluppo di canali alternativi, promuovendo e sostenendo giovani artisti in cerca di occasioni per potersi esprimere e poter comunicare nuove idee.

Stazione Celeste” (http://www.stazioneceleste.it/) è una casa editrice e insieme uno spazio di incontro che si occupa di tematiche legate alla spiritualità. I libri editi da “Stazione Celeste” sono delle finestre affacciate su mondi sorprendenti e inesplorati; sono viaggi che possono condurre chi li legge a scoprire nuove strade, nuovi modi di vivere, più consapevoli e profondi, che trascendono la mera apparenza e la realtà fenomenica in cui siamo immersi.

In particolare, il libro di Celia Fenn affronta il tema dei bambini indaco e cristallo. Bambini che sono messaggeri di cambiamento, antesignani di una “rivoluzione” spirituale e culturale imminente, presente “in nuce” nel genere umano, ma che ancora non ha trovato gli strumenti e i tempi per realizzarsi appieno. Questi fanciulli “magici” giungono sulla terra come “angeli”, per innescare un processo di consapevolezza che la razza umana non potrà ignorare, e che, inevitabilmente, produrrà un cambiamento “apocalittico” nelle nostre società e nelle nostre culture.

Questo illuminante libro viene “illustrato” da questa mostra grazie ai dipinti dell'artista “Akira Zakamoto”, a cui il tema dei bambini, concepiti come esseri superiori e forieri di una teleologia profonda dell'esistenza, è particolarmente caro e costituisce il fulcro della sua ricerca concettuale e artistica.

Nei quadri di Akira Zakamoto i bambini rappresentano una connessione mistica tra universi tangibili e mondi intrapsichici, perché essi sono in grado di dare un significato diverso ai significanti, ai segni che si presentano ogni giorno sotto i nostri occhi, e che noi non sempre riusciamo a decodificare.

In queste opere assistiamo alla rappresentazione di una poetica che incarna “un'escatologia esoterica” densa di valenze spirituali oltre che artistiche.

E così muta lo sguardo, e muta la prospettiva consueta e desueta, attraverso un gioco di metamorfosi semantiche che lo stesso Zakamoto descrive nella presentazione di questa mostra, e che preannuncia una trasformazione non solo di stilemi linguistici, ma di significati e di concezioni, aprendo la via a strade nuove e imprevedibili dove l'essere umano può ritrovarsi abbandonando sé stesso e le proprie antiche e fallaci credenze. Ironica iperbole, magnifica e paradossale.


“EUFASIA” ARTE COME TRADE D'UNION TRA EUROPA E ASIA



L'11 gennaio 2009, presso l'elegante ed esclusivo “Port Palace Hotel” di Montecarlo, è stata inaugurata una mostra d'arte originale, raffinata e “multietnica”.

Elisabetta e Paola Fantaccini, anime dell'azienda di comunicazione “Eufasia s.a.r.l” e promotrici dell'evento, hanno dato vita a una kermesse sorprendente ed esplosiva, mirabilmente curata fin nei minimi dettagli. L'allestimento impeccabile, l'attenzione solerte e minuziosa per i particolari e la doviziosa “regia” di tutte le performance artistiche denotano un impianto organizzativo di gran classe e pregio. I bellissimi locali del “Palace Hotel”, sfarzosi ma mai barocchi, con un magnifico e iridescente mare a fare da cornice al tutto, si sono rivelati una location ideale per valorizzare al meglio questo evento.

La serata è stata densa di sorprese e spettacoli, spaziando dalla musica alla cucina, dal Tai Qi alla scultura, dalla pittura alla fotografia. L'esposizione potrà essere visitata fino al 25 gennaio.

Tantissimi gli artisti chiamati ad arricchire, animare e movimentare questo singolare vernissage: Daphnè Du Barry (scultrice), Fabiana D'Amico (scultrice), Lanfranco Lanari (pittore), Akira Zakamoto (pittore), Rafael Pacheco (pittore), Ivana Boris (fotografa), Claudia Albuquerque (fotografa), Yukako Custo (musicista), Yang Er Yue (Tai Qi), Anthony Alberti (bodypainter), solo per citarne alcuni.

Quale modo migliore per comunicare se non l'arte nella sua magnifica e inesauribile versatilità e poliedricità di significati? Questa l'idea che ha spinto le sorelle Fantaccini a organizzare questo ambizioso evento, peraltro perfettamente riuscito.

Eufasia”, secondo l'etimologia greca del termine, e non a caso, significa “buona comunicazione”. Infatti l'arte rappresenta e incarna sicuramente una modalità comunicativa straordinaria, piena di simboli, suggestioni, contaminazioni e valenze.

L'arte ha anche una funzione unificatrice oltre che comunicativa. Essa è capace di sottolineare le peculiarità e le differenze, ma anche di trasformarsi in terreno comune, sensibilità universale, materia plasmabile che identifica e connota l'anima pur distinguendola come entità magica, unica e irripetibile.

L'arte è spesso in grado di superare le barriere linguistiche, perché non ha bisogno di parole e di codici verbali condivisi. Con l'arte si possono superare i limiti spazio-temporali e culturali, dialogando direttamente con la parte più nascosta e profonda dell'anima umana. Un colore, un suono, un movimento, arrivano a sfiorare direttamente le nostre corde emotive, facendole vibrare e sussultare. Senza bisogno di parole.

Questa è “buona comunicazione”.


ART METER DOVE L'ARTE SI LIBERA DAI VINCOLI



Art-Meter (http://www.art-meter.it/) è una galleria d'arte on-line che vede la luce nel marzo 2008, grazie a Ilaria Fossi e a suo marito Taka, che si sono ispirati a un'idea della società nipponica “Kayac Inc” (www.art-meter.com). E' uno spazio virtuale (ma anche reale!) in cui gli artisti possono vendere liberamente le proprie opere, e chiunque può acquistarle.

Ilaria Fossi e Taka detengono la concessione del marchio per tutta l'Europa, e uno dei loro prossimi obiettivi è quello di esportare Art-Meter anche all'estero.

Questa iniziativa, unica in Italia, in pochissimo tempo ha avuto un riscontro molto positivo, sia presso il pubblico, sia presso gli artisti. In pochi mesi, infatti, le vendite dei quadri hanno avuto un incremento esponenziale. Basti pensare che da marzo a ottobre sono stati venduti circa 50 quadri, e da ottobre a dicembre circa 160. Un risultato di tutto riguardo, emblematico della crescita e del successo che il progetto sta ottenendo.

La filosofia che sta alla base di questa iniziativa parte dalla considerazione che l'arte debba essere un bene non vincolato da logiche di mercato elitarie. L'arte è un prezioso patrimonio di cui tutti dovrebbero usufruire e godere; è una ricchezza, sia per chi la produce, sia per chi ne fruisce. Una concezione, quindi, non “oligarchica” e settaria, ma “democratica”. Parola d'ordine, dunque: libertà.

Libertà, per l'artista, di poter vendere i propri lavori in modo equo e trasparente; libertà, per il pubblico, di poter acquistare le opere a prezzi accessibili, stabiliti secondo criteri chiari e inequivocabili.

Art-Meter non giudica nessuno e non pone censure, dando a chiunque la possibilità di rendersi visibile e di esprimersi attraverso la propria produzione. Qui sono racchiuse la pregevole peculiarità e la carta vincente di questo progetto. Esiste, dunque, una volontà precisa di connotare la creatività in modo diverso e alternativo, eludendo i canali canonici dell'arte istituzionale e un po' “snob”, che si erge su un piedistallo e promulga arroganza e saccenza.

Con Art-Meter, invece, l'arte si evolve, vola libera, senza costrizioni formali e senza quelle innumerevoli “conditio sine qua non” che fanno dell'arte “ortodossa” un territorio immobile dove la regola regia è un'ottusa e sterile autoreferenzialità, sorretta da onanismi rocamboleschi e grotteschi, e fiumi di autocompiacenza narcisistica.

Un'iniziativa, quella di Ilaria Fossi e Taka, estremamente rivoluzionaria, che apre la strada a un mutamento importante nel modo di concepire la creatività.

Soprattutto in Italia, l'arte è ancora prerogativa di pochi ed è ostaggio di logiche retrive, obnubilate e sterili.

In Italia chi fa arte (il cosiddetto artista, o sedicente tale), o “se lo può permettere”, e si trastulla con la produzione artistica né più, né meno, come potrebbe fare con un giornaletto pornografico o con una partita di squash, oppure si affida alle “briglie d'oro” di qualche illuminato gallerista-mecenate, ma, per quanto dorate, pur sempre di catene e di gabbie si tratta. Senza dimenticare che trovare qualcuno, nel nostro “belpaese”, che non sia legato a un'idea dell'arte “classica” e “manieristica”, che deve obbligatoriamente rispondere a certi schemi estetici e formali (anche nell'ambito della “sovversione”!), è difficile se non impossibile.

Art-Meter invece livella tutti. Ma senza negare dignità e valore, anzi, elargendo a ogni artista la possibilità di esprimere se stesso senza condizionamenti, senza temere i giudizi altrui, e senza il vessillo assillante dell'inadeguatezza. E su Art-Meter, particolare non trascurabile, l'artista può vendere le proprie opere. Perché l'idea romantica e decisamente aberrante dell'arte che esula da qualunque “sporca” compromissione con il vile denaro, è ormai anacronistica e da rifuggire come la peste. Cerchiamo, quindi, di restituire all'arte e all'artista la sua dignità e il suo valore in toto, anche in quanto lavoro grazie al quale potersi garantire una sussistenza, appurato il fatto che di sola aria e idilliaci vaniloqui non si vive.

Un'idea all'avanguardia, dunque, in questo panorama impolverato e austero che ha il sapore più del cimelio che della vera creatività.

Finalmente qualcosa di diverso, che spezza la logica consueta. Stiamo a vedere.


giovedì 22 gennaio 2009

DON CHISCIOTTE, L'ARTE DELL'IMITAZIONE

Al Teatro Nuovo di Torino è in scena, dal 20 al 25 gennaio, “Don Chisciotte”, diretto e interpretato da Franco Branciaroli e prodotto dal Teatro de Gli Incamminati.
Le luci, bellissime e cangianti, sono di Gigi Saccomandi; la curiosa scenografia, che richiama un ambiente da “bar esclusivo di alto rango”, è di Margherita Palle, e i costumi sobri ed eleganti sono di Caterina Lucchiari.
In questo spettacolo dissacrante e ironico, possiamo ammirare, a 360 gradi, l’estrema versatilità di Franco Branciaroli, grande mattatore camaleontico e istrionico.
In un esilarante ed esplosivo atto unico, Branciaroli si fa abile e raffinato emulatore di due mastodontici “mostri sacri” del teatro italiano e internazionale: Vittorio Gassman e Carmelo Bene, rivisitando il “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes in chiave originale e giocosa.
Come il protagonista del romanzo, appassionato di epopee cavalleresche, si trasforma nel celebre cavaliere errante Don Chisciotte della Mancia, così Branciaroli si trasforma in questi due idoli del palcoscenico, tessendo un mirabile “elogio dell’arte dell’imitazione”.
In bilico tra solennità e facezia, egli rimbalza con sbalorditiva disinvoltura tra un Don Chisciotte-Gassman e un Sancho Panza- Bene, calcando la scena da solo per settantacinque minuti, senza mai un attimo di esitazione o di indecisione, riuscendo a rapire e a divertire la platea per tutta la durata dello spettacolo, e mantenendo sempre un ritmo incalzante e vivace.
Con sarcasmo a tratti provocatorio e canzonatorio, a tratti sottile e tagliente, Branciaroli imita questi due grandi attori destreggiandosi rocambolescamente tra Dante, Beckett e i miti greci, servendosi del capolavoro di Cervantes come pretesto narrativo per creare un’apologia giullaresca e paradossale sul senso del teatro e della letteratura.
Dunque dove sta il limite tra realtà e finzione, chi lo decide e perché? E qual è la funzione dell’imitazione intesa come “tragicommedia” catartica contenente mille imprevedibili matrioske?
L’attore, in fin dei conti, è una persona, nel senso latino del termine, dunque una maschera. Cangiante, potente, poliedrica, immersa in un magmatico gioco di specchi in cui si perde e si ritrova. Sia che stia sulla scena di un teatro, sia che stia sulla scena di un romanzo.
In un finale imprevisto e affascinante Branciaroli ci dimostra che tutto si può modificare, tutto si può ribaltare. E si può anche rinnegare l’inchiostro che scrive il destino di un personaggio.

domenica 18 gennaio 2009

CIRO PALUMBO E ALFIO PRESOTTO




LO SCRIGNO DELLA BELLEZZA SPALANCATO SUGLI UNIVERSI RECONDITI DELLA SPIRITUALITA'


La pittura di Ciro Palumbo e Alfio Presotto, densa di simboli e archetipi, rappresenta l'ideale estetico e spirituale del Sogno.
Il Sogno è qualcosa di ben diverso dai sogni, perché ha un cuore stratificato in cui si intessono e si mescolano valenze individuali e valenze collettive. Esso è una matrioska poliedrica che si eleva dal piano immanente a quello trascendente, percorrendo la filogenesi dell'anima umana dagli albori della civiltà al tempo presente. E' una specie di reperto fossile dello spirito che raccoglie, lungo il proprio cammino, frammenti di esperienze, emozioni, desideri e aspirazioni personali e sociali, per divenire “un'antonomasia” che racchiude le radici spirituali e culturali dell'umanità. Un cuore ancestrale e pulsante, una pozione alchemica vibrante, che continuamente si addobba di nuovi colori, nuove sfumature e nuove forme. Un patrimonio di tutti e di ognuno, squisitamente intimo e al contempo universale. Tutto ciò può sembrare un parossismo, eppure l'espressione artistica di questi due pittori ci dimostra che l'antinomia è solo apparente.
Palumbo e Presotto, con la loro pittura, aprono questo sfavillante scrigno e vi rovistano dentro. E come dei “Prometei contemporanei”, “rubano” questo magnifico e magmatico “fuoco” per donarlo agli uomini. La chiave magica che spalanca questa seducente cassaforte blindata è la Bellezza.
I due pittori, distribuiti in esclusiva da “Falpapromozionearte”, riescono a creare un rapporto dialogico con la Bellezza, vestendola di significati che superano la mera piacevolezza sensoriale per spingersi in territori ben più complessi, arcani e intriganti, dove l'interlocutore privilegiato diviene lo spirito. Palumbo e Presotto parlano all'uomo intriso di realtà fenomenica, ma anche e soprattutto all'uomo che ha impresse dentro di sé memorie lontane, che affondano le proprie origini nella notte dei tempi. Le opere di questi due artisti comunicano su due livelli: quello immediato e istintivo, con l'impiego di canoni estetici condivisi e versatili giochi cromatici, e quello inconscio e latente, con l'uso di simbolismi che solo l'anima può decifrare.
La loro “Metafisica”, rompendo le convenzioni, scandaglia un mondo sublime e sotterraneo dove tutto è ribaltato e reinterpretato, e ogni cosa diviene possibile. Solo spezzando gli argini e annullando i limiti imposti si può innalzare il proprio essere.
La Bellezza, dunque, non è autoreferenziale, non è solo virtuosismo che lusinga i sensi e accarezza lo sguardo, bensì è simbolo di valori spirituali elevati e universali. La Bellezza di Palumbo e Presotto ha un rapporto sottile e complesso con la temporalità, perché essa non è mai anacronistica ma neppure contestualizzante: è presente, pur attingendo da ideali estetici, culturali e simbolici del passato, ma il suo collocarsi nel tempo presente in virtù di un'incarnazione precisa non la denota e non la identifica con una particolare componente del mondo reale. E qui sta l'essenza epistemologica ed ermeneutica della “surrealtà” di questi pittori.
La figura femminile, spesso raffigurata nelle opere di Presotto, non rappresenta una donna, ma la donna. E l'analisi va ancora oltre: la donna è un pretesto, uno stratagemma per scrutare la Bellezza, che a sua volta è una chiave d'accesso per addentrarsi nel territorio meraviglioso e sfolgorante della dimensione spirituale.
Così gli eroi, gli dei e le isole di Palumbo: sono, appunto, archetipi universali e simboli di Bellezza che permettono, attraverso la decodifica sensoriale e istintiva di elementi noti, uno spostamento semantico ed emozionale che conduce lo spettatore a scoperchiare il “Vaso di Pandora”, che in questo caso non contiene tutti i mali, ma racchiude i segreti più affascinanti e ammalianti dell'animo umano. Lo “strumento” che mette in atto questo stupefacente processo è l'Inconscio.
Gli artisti hanno l'arduo compito, peraltro perfettamente assolto da Palumbo e Presotto, di trovare “gli appigli cognitivi” adatti a innescare questo fantasmagorico e sorprendente viaggio, generando quel sortilegio unico e irripetibile che solo l'Arte può regalarci.

sabato 20 dicembre 2008

PROFONDITA’ 45 MICHELANGELO AL LAVORO


La commistione temeraria e apparentemente paradossale tra arte, tecnologia e industria è la caratteristica peculiare di questo progetto, ideato e curato da Ruggero Maggi e realizzato grazie alla collaborazione della ditta “TCG Ghelco” di Settimo Torinese (che ha sostenuto interamente i costi dell’iniziativa), e alla supervisione generale di Luigi Dorella.

Profondità 45 Michelangelo al lavoro” si avvale della partecipazione di una sessantina di artisti che hanno accettato questa singolare “sfida”: elaborare un’idea, essere gli artefici di un progetto creativo attuato, concretamente e tecnicamente, dal sistema di aerografia digitale “Michelangelo”, impiegando particolari materiali industriali usati solitamente per scopi vari (arredamento, edilizia etc). Questi materiali sono stati successivamente assemblati in modo volutamente caotico e casuale, al fine di sortire un effetto imprevisto e imprevedibile, un sussulto inatteso di stupore grazie al quale lo spettatore può accedere alle sfaccettature più nascoste e recondite del messaggio che l’opera intende veicolare. La profondità emotiva e la pregnanza comunicativa di questa mostra sono racchiuse proprio nella sottile alchimia tra bellezza, tensione, sovversione ed emozione, in quel quid che scuote l’anima, che rende armoniose le dicotomie attraverso danze di antitesi e parossismi, che scandaglia l’imperscrutabile suscitando sensazioni enigmatiche e ancestrali, dense di significati simbolici immediati ed “epidermici”.

Non c’è esegesi che tenga: alla fine tutto viene ricondotto alla soggettività, e in virtù delle percezioni e interpretazioni individuali ogni opera acquista un senso intelligibile. Questa è la vera epistemologia dell’arte, perché paradigmi e postulati assoluti non ne esistono. L’artista si fa maieuta, aedo, rabdomante, affabulatore ardito che, utilizzando e “umanizzando” il mezzo tecnico, riempie i significanti di significati, e va alla ricerca incessante di segreti sepolti sotto la pelle, custoditi in quel territorio arcano e mistico che è la nostra essenza più profonda, seducente e magmatica.

Il caos indistinto diviene un’ammaliante fucina da cui attingere per creare, manipolare e dare forma a ciò che per natura è indistinto e indifferenziato.

F. Nietzsche affermava che: “bisogna avere ancora del caos dentro di sé per partorire una stella danzante”.

Indubbia l’originalità di questo interessante progetto, pieno di spunti concettuali, artistici e tecnici, che si svilupperà in una mostra itinerante che parte da Torino (Palazzo Atena, 28/11-12/12), per proseguire la propria “odissea” attraverso varie città italiane ed europee.

Il ricavato delle vendite delle opere d’arte verrà devoluto alla LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids), alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro e alla O.N.A.O.M.A.C (associazione che sostiene e assiste gli orfani dei carabinieri).


Contatti:


Curatore del progetto: Ruggero Maggi - camera312@fastwebnet.it


Coordinatore e responsabile TCG Ghelco: Luigi Dorella – luigi.dorella@ghelco.it

TCG Ghelco – Via Santa Cristina 16/C – Telefono: 011.8950944 - Settimo Torinese (To)

www.tcgcom.net



sabato 13 dicembre 2008

Un eterno segno grafico serpeggiante che corteggia una spirale

In una danza obliqua
ingorda di sospensioni
galleggia nell'aria
la corda impiastricciata di miele e spine

Posticcio e inutile
il grillo parlante
che si accucciatra le circonvoluzioni magmatiche del cervello

Trova respiro la temerarietà
in bilico tra l'umano e il divino
quando si scivola al contrario
precipitando verso l'alto
con lo sguardo che circuisce le viscere della terra

Incipiente l'esperienza luciferina
che scolpisce antitesi tra le palpebre socchiuse
della vanità

Tutto ciò che non si può dire e non si può fare
è voluttà appetitosa
che non sa essere pavida

Negletta è l'assennatezza noiosa
foriera di mendaci lusinghe
perchè pulsando
il sangue si rovescia e distilla gocce di follia

venerdì 12 dicembre 2008

LA DANZA DELL'INFERNO


Al Teatro Alfieri di Torino, dal 9 al 14 dicembre, è di scena “Inferno”, rocambolesco spettacolo di danza ispirato ai canti danteschi della “Divina Commedia”.

Dall'autore di “Nogravity” - Emilio Pellisari - un'affascinante reinterpretazione del viaggio di Dante e Virgilio attraverso cerchi, bolge e gironi infernali, dove predomina il linguaggio del corpo, dell'acrobazia aerea e della coreografia.

Emilio Pellissari, già ideatore di originali performance, profondo conoscitore del teatro fantastico rinascimentale e di incredibili stratagemmi meccanici, questa volta porta in scena uno spettacolo temerario e ardito, denso di sorprese ed effetti sbalorditivi.

Confrontarsi con l'imponente e mastodontica eredità della “Divina Commedia” già è un'impresa ardua, ma renderla attuale, esaltante e coinvolgente senza sminuirla e banalizzarla, è davvero encomiabile.

Lo spettacolo è un vero capolavoro, e niente è lasciato al caso: dalle eccentriche e poliedriche musiche etno-tech e classiche di Giuliano Lombardo e Oscar Monelli, alle luci sapienti che evocano atmosfere oniriche e inquietanti, ai costumi, alle fantasmagoriche coreografie di Noemi Wolfsdorf. Le abilità tecniche ed espressive dei danzatori sono a dir poco eccezionali: mai una sbavatura, mai un movimento incerto, barcollante, impreciso o spurio. E la loro sintonia è ineccepibile, sia nei movimenti dinamici, sia nei passaggi statici. A elargire un ulteriore tocco di prestigio e lustro: la voce recitante di Vittorio Gassman, che accompagna le meravigliose gesta dei ballerini declamando alcuni versi tratti dai più celebri canti dell'”Inferno” dantesco.

Lo spettatore viene inghiottito, fin dall'inizio, da atmosfere oniriche, surreali, cupe, ambivalenti e dense di suggestioni sensoriali.

L'incipit è solenne, carico di pathos e tensione: “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente” (Inferno, Canto III) esordisce Gassman. E da qui inizia un viaggio strabiliante che non lascia tregua e respiro, tra angeli, demoni, diavoli, anime dannate che si flettono, si ribaltano, si allungano, si comprimono, si contorcono, immerse in una dimensione senza tempo, in un oceano rarefatto dove i riferimenti spaziali vengono sovvertiti e stravolti. Assistiamo così a mirabilanti e sinuose acrobazie di corpi in bilico su un filo o che strisciano come gechi sui muri scoscesi del dolore e della perdizione. Una schiera di spiriti ubriachi di follia nuota tra limbi oscuri, lattiginosi e infuocati, brancola nel buio, sospesa in un nulla vischioso e acquoso, costretta a pagare il fio dei peccati terreni a causa dell'inappellabile e perentoria legge della nemesi.

E, dopo infinite peregrinazioni, finalmente la scala vivente che conduce alla luce.

ARTE E SPIRITUALITA' A MILANO LA PRIMA COLLETTIVA DI ARTEINDACO




Giovedì 4 dicembre 2008, presso l'associazione “Energea” di Milano, è stata inaugurata la prima mostra collettiva di “ArteIndaco”, progetto artistico dedicato al rapporto tra arte e spiritualità.

Questa è la prima di una serie di esposizioni che avranno luogo in varie città italiane e coinvolgeranno numerosi artisti.

In mostra, fino al 21 dicembre, le opere di: Ciro Palumbo, Akira Zakamoto, Claudia Giraudo, Ada Muniel, Anna Maria Martini, Marida Maccari, Viviana Ammannato, Alessandra Daya Arnoletti, Maria Elena De Maio Cacciotti, Elena Copetti, Edimar Marcelo Costa, Cristina Gualmini e Manuela Marussi.

Il catalogo della mostra è a cura di Sergio Motolese e Pietro Abbondanza.

“ArteIndaco” (http://www.arteindaco.blogspot.com/) nasce nell'aprile 2008 da un'idea di Luca Motolese (in arte Akira Zakamoto), in collaborazione con “Stazione Celeste” (http://www.stazioneceleste.it/) e Bottega Indaco (http://www.bottegaindaco.blogspot.com/).

Lo scopo di questo progetto è creare una rete di artisti che scandaglino il tema della spiritualità attraverso la ricerca artistica. Un luogo di incontro, dunque, tra persone desiderose di confrontarsi con sensibilità affini, ma anche una fucina di linguaggi facondi, versatili e poliedrici, in divenire continuo, che attingono la propria forza da matrici simili eppure diverse. Non ci sono canoni stabiliti aprioristicamente; esiste solo l'anelito spontaneo e libero di potersi esprimere attraverso il mezzo artistico inteso come strumento ermeneutico che dà forma e intelligibilità alla dimensione interiore, a quella spinta atavica che da sempre l'uomo custodisce dentro di sé: la propria trascendenza, quel quid mistico e misterioso che scavalca l'immanenza per lambire il divino.

Le apparenti aporie qui si smussano e si sciolgono, perché il trade d'union non è una particolare forma di spiritualità o religione, ma la religiosità profonda che alberga nell'essere umano, indipendentemente dalla sembianza e dallo stilema che acquista quando si esteriorizza. La libertà d'espressione, dunque, è la chiave per comprendere il senso di questo progetto. La lettura avviene su metalivelli diversi e a volte apparentemente dissimili, ma, paradossalmente, le differenze esaltano la Bellezza, la incarnano e la valorizzano, elargendo un'armonia eclettica che oltrepassa i paradigmi attesi per addentrasi in un territorio più sottile e intrigante: quello, appunto, della libertà di comunicare ciò che si sente nella maniera a sé più congeniale e consona, senza regole e dogmi.

In “ArteIndaco” gli artisti non solo si incontrano, ma si confrontano e si contaminano, in un percorso scevro da giudizi e pregiudizi. Perché non c'è una “Verità” da svelare, una teleologia da rivendicare, una strada da intraprendere, e neppure alcun intento catechizzante, per fortuna. Esiste solo il piacere di seguire l'impulso che l'anima e l'intuito suggeriscono, senza schemi prefissati né semiologie imposte. La significazione e la comunicazione non seguono strade obbligate. Ognuno può attingere ai propri simboli e al proprio sentire profondo, dando spazio alle proprie ancestrali e intime risonanze. Un simbolismo escatologico sussiste sempre nelle opere di tutti gli artisti di “ArteIndaco”, ma la decifrazione dei simboli sta nell'individualità piuttosto che in una dottrina specifica a cui dover aderire. In questo modo si scongiura il pericolo di creare una setta autoreferenziale dove l'arte diventerebbe mera tautologia prevedibile e scialba, espressione di postulati piuttosto che delle peculiarità di ognuno. La ricerca gnoseologica e artistica non vuole essere di tipo deduttivo, ma piuttosto induttivo, perché solo così è possibile dare respiro all'Arte, concepita come sublimazione estetica dell'universo spirituale di ogni essere umano.

“Bisogna avere ancora del caos dentro di sé per partorire una stella danzante”

F. Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”

FIABEPITTURE MOSTRA PERSONALE DI CIRO PALUMBO AVERSA (CE)



Sabato 20 dicembre 2008, ad Aversa (CE), presso la Struttura Comunale Ex Macello, Sala Caravaggio, avrà luogo l'inaugurazione della mostra personale di Ciro Palumbo “Fiabepitture”.

La mostra, curata da Carlo Roberto Sciascia, è organizzata in collaborazione con l'associazione culturale “Naonisart”, nell'ambito dell'iniziativa “Aperitivi d'arte”. L'associazione, attiva a Porcia, Venezia e Aversa, vanta, per l'anno 2009, un calendario ricco di interessanti eventi di carattere letterario e artistico. Ma il fiore all'occhiello è l'iniziativa prevista per il mese di giugno alla Reggia di Caserta, che rappresenterà una sintesi di tutti gli eventi dell'anno, e a cui parteciperanno numerosi artisti tra cui anche lo stesso Ciro Palumbo.

La mostra “Fiabepitture” scandaglia il tema del Sogno attraverso il racconto per immagini.

In queste opere assistiamo a uno sviluppo “dialogico” della pittura di Palumbo. I simboli, gli stilemi, i colori e la tecnica evocano e richiamano la narrazione in modo originale e diverso rispetto a prima.

La parola scritta non viene più solo intuita e immaginata, ma appare sulle tele, spogliandosi però del suo significato linguistico usuale per diventare un significante ancor più emblematico e pregno di simboli, e si trasforma anche in immagine.

La commistione tra pittura e letteratura affascina e seduce, e le due arti si contaminano in modo biunivoco, attingendo l'una dall'altra, per dare vita a un sortilegio raro e prezioso, giocato su infiniti metalivelli espressivi e comunicativi.

I canali interpretativi dell'ultima produzione di Palumbo, dunque, si arricchiscono e si fanno più complessi, perché il segno non rimanda più a se stesso e ad un preciso universo simbolico. Ora il segno gioca a significare molteplici possibilità, spostandosi sia da un campo semantico a un altro, sia da un terreno artistico all'altro.

Se già prima le opere di Palumbo erano feconde di metafore visive, ora assistiamo all'uso di queste figure retoriche non solo all'interno dello stesso registro artistico, ma addirittura mescolando diversi registri e piani espressivi. E proprio qui sta l'originalità e al contempo la grande sfida: riuscire a creare un'armonia singolare e temeraria, azzardando accostamenti insoliti e compenetrazioni rocambolesche.

Ci addentriamo così nel meta-meta-fisico, su un piano ancora più alto, dove la realtà si flette, si piega e si sgretola sempre più, pur rimanendo un baluardo diafano grazie al quale il Sogno e l'Inconscio trovano ancoraggio e senso. Perché per riuscire a lambire l'onirico, il reale deve esistere, ma non per ciò che è, bensì per ciò che può essere e rappresenta, divenendo, appunto, surreale. La realtà non può e non deve essere annientata, ma trasformata. Il pittore è un artefice di significanti e significati, dotato della capacità di plasmare l'universo fenomenico per forgiare le chiavi che possano aprire le porte di mondi nuovi, nascosti sotto la superficie dell'apparenza. Ed è anche un aedo che canta le gesta della propria trasognante odissea.

Il mito ci guida in questa ancestrale ricerca di noi stessi; è il modello che ci aiuta a interpretare i nostri sogni e la nostra storia.

Potremmo definire Palumbo un “pittore-affabulatore junghiano”, perché attinge agli archetipi universali cogliendone non solo la Bellezza, aspetto imprescindibile per chiunque faccia Arte, ma anche i reconditi significati maieutici che custodiscono.

E' necessario che lo spettatore si specchi in questo universo di simboli senza pregiudizi, remore e costrizioni cognitive, perché solo quando si smette di cercare si trova davvero ciò che è essenziale.

“Io sono semplicemente convinto che qualche parte del Sé o dell'Anima dell'uomo non sia soggetta alle leggi dello spazio e del tempo”

C.G. Jung