giovedì 1 aprile 2010

L'ESPRESSIONISMO METAFISICO DEL SENTIMENTO DI MONICA MAFFEI: SGOCCIOLATURE DI POLIFONIE EMOZIONALI


“Non si vede bene che con il cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi.”
Il Piccolo Principe, A. de Saint-Exupéry



Monica Maffei, distribuita in esclusiva da “Falpa Promozione Arte”, è una pittrice dotata di rara sensibilità, che attinge la propria ricchezza espressiva da varie esperienze umane e artistiche, per giungere a un percorso personale originale ed estremamente interessante, in continua evoluzione.
L'arte di Monica Maffei è un luogo evanescente e potente, a tratti diafano e a tratti acceso, dove risuona l'eco accattivante dell'ineffabilità; è, come disse Charles Baudelaire “una magia suggestiva che accoglie insieme l'oggetto e il soggetto”, e che innesca una profonda e irreversibile trasformazione della realtà, schernendo sottilmente l'illusione positivista che per secoli ci ha fatto credere che possa esistere un “oggetto in sé”, indipendentemente da colui che lo osserva e lo percepisce. Le opere della pittrice varesina sono cariche di intuizione, di pathos, di slancio, e interpretano il mondo attraverso un vivido ed “epidermico” processo di identificazione empatica, che, attraverso tele dense di striature e chiazze, concrezioni materiche stratificate, alternanze di vuoti e pieni, viluppi di colori a volte opachi e sfumati, a volte brillanti e sgargianti, ci restituisce una gustosa sintesi ermeneutica e semiologica dei recessi più nascosti dell'Io, resa mediante un simbolismo penetrante che sconfina nell'espressionismo astratto. La sua arte è un crocevia dove si intersecano sinfonie di sentimenti cangianti e sfuggenti che rimbalzano dentro dedali di storie di vita quotidiana, creando affabulazioni ambivalenti, imprevedibili, giocose o malinconiche, generate dall'intimità sfaccettata, misteriosa e caleidoscopica dell'anima umana.
E' necessario soffermarsi e indugiare sulle opere di Monica Maffei affinché esse svelino i loro significati più intensi e profondi. A un' analisi superficiale, infatti, i soggetti rappresentati dalla pittrice possono apparire avvolti da un'atmosfera di impenetrabilità ermetica, come se custodissero un segreto inviolabile e difficilmente comprensibile a una lettura negligente e frettolosa. Ed è proprio così: le figure umane impresse sulle sue tele devono essere decifrate con cura e solerzia; sono latori di enigmi e di scorci di esistenza squisiti e arcani, che si manifestano e si rivelano solo a chi abbia l'audacia e il desiderio di guardare con gli occhi del cuore, e di entrare in risonanza emotiva con essi. Nei volti della Maffei le pupille sono bandoli scintillanti e iridescenti che si dipanano verso l'immensità del cielo, che roteano avanti e indietro tra gli anfratti emblematici del tempo, e traboccano di energia vitale anche quando vi serpeggiano i marchi a fuoco del dolore e dell'inquietudine.
Clement Greenberg affermò che la vera arte deve basarsi sul sentimento, e Monica Maffei incarna perfettamente questa concezione dell'arte, lambendo le emozioni che si nascondono dentro le emozioni, in un gioco di scatole cinesi che si schiudono come boccioli alla luce. La luce è lo sguardo della pittrice, di donna, prima ancora che di artista, che sa scorgere oltre le maschere dell'apparenza, che sa sfogliare con delicatezza e acume le pagine dei libri scritti tra le pieghe della pelle delle persone che incontra, e sa farne opera d'arte, trasponendo sulla tela la passionalità sommessa di coloro che si muovono nel mondo in modo compito e discreto. La sua è un'azione di “archeologia umana” finalizzata a recuperare il magma che pulsa sotto la cenere, per ritrovare ciò che giace sepolto dal tempo e dalla frenesia convulsa della vita moderna, dando voce, attraverso il segno pittorico, al fragore del silenzio, ed esprimendo con le immagini quello che la parola riesce appena a sfiorare e abbozzare.
Nei suoi quadri c'è il profumo di uno stile informale che ricorda alcuni artisti del Color Field Painting come Jules Olitski, Kennet Noland e Mark Rothko, e in molte delle sue tele l'uso del dripping richiama l'importanza dell'atto inconscio nella creazione artistica, rimandando ai fondamenti concettuali dell'Action Art di Jackson Pollok. L'impiego di spatolate verticali crea suggestive texture di diversi colori o dello stesso colore declinato in differenti intensità e sfumature, che elargiscono un peculiare effetto di distorsione della profondità prospettica, e che hanno come conseguenza l'amplificazione della dimensione emotiva del soggetto rappresentato.
Ma Monica Maffei non è un'artista informale pura: i suoi dipinti sono quasi sempre popolati da esseri umani, spesso donne, immersi in un'atmosfera rarefatta, sensuale e trasognante. Dunque il suo espressionismo è in parte astratto, in parte figurativo, ha origine dalla sua anima per poi immergersi nell'anima dell'oggetto/soggetto osservato, ed è metafisico (sia in senso pittorico, sia in senso filosofico) perché oltrepassa i limiti della realtà transeunte allo scopo di scandagliare il nucleo arcano ed esoterico dei sentimenti, custodito nell'inconscio individuale e collettivo, che traspare da un guizzo negli occhi, da un gesto, da un'espressione del viso, da una posa del corpo.
Nella pittura della Maffei pare sanarsi l'annoso dualismo tra realtà noumenica e realtà fenomenica: il noumeno qui non è l'idea platonica, intelligibile nella sua purezza solo dall'intelletto capace di trascendere il mondo tangibile, e non è neppure ciò che Kant definiva un tentativo da parte del pensiero di rappresentare ciò che è inconoscibile. Il noumeno della poetica dell'artista non è un attributo della mente razionale, bensì un'essenza primordiale, una struttura fondamentale ed eterna degli esseri che però prende vita dall'emozione, e che supera questa antica dicotomia perché la realtà noumenica non si colloca al di fuori della realtà fenomenica, ma dentro di essa, ad un livello diverso e maggiore di profondità. Il “noumeno”, dunque, è un principio “sentimentale” e non mentale, e non sussiste su un piano differente rispetto al fenomeno. Per Platone solo le idee (noumena) erano conoscibili, mentre per Kant solo i fenomeni, ma in entrambi i casi il dualismo appariva insanabile e insolubile. La metafisica intesa come “scienza della cosa in sé” è sempre stata fonte di accese diatribe filosofiche, poiché si è sempre posto come assunto il pensiero, che, in quanto tale, non può divincolarsi da se stesso e dalla propria autoreferenzialità, e proprio da ciò scaturiva il sillogismo che conduceva all'antinomia. E se ciò che esula la conoscenza non è neppure concepibile, la sua stessa esistenza risulta del tutto indifferente e irrilevante.
Ma Monica Maffei pare dirci che il paradigma che dobbiamo assumere per conoscere e comprendere sia i fenomeni, sia i noumena (cioè la natura essenziale delle cose), non è la ragione, incapace, appunto, di valicare i propri confini, ma l'emozione empatica e intuitiva, che non ha bisogno di capire il mondo in maniera dialettica e dialogica, perché sente in virtù di processi analogici, e così può travalicare se stessa e può portare alla “com-passione”(intesa secondo l'accezione adottata nei poemi omerici). E la pittrice pare dirci anche che non dobbiamo cercare questa essenza fuori di noi e fuori dalla realtà percepibile, ma dentro di noi e dentro il mondo in cui viviamo, imparando a guardare al di là dell'apparenza, negli abissi incommensurabili del cuore.


La natura è spesso nascosta, qualche volta sopraffatta, molto raramente estinta.
Francis Bacon



Chiara Manganelli

Nessun commento: