giovedì 1 aprile 2010

ANTONIO SGARBOSSA TRA SOSPENSIONE ONIRICA E “REALISMO SOGGETTIVO”



L'unica vera sorgente dell'arte è il nostro cuore, il linguaggio di un animo infallibilmente puro. Un'opera che non sia sgorgata da questa sorgente può essere soltanto artificio”


Caspar David Friedrich





"Una piccola ala di muro gialla, di cui non si ricordava,
era dipinta così bene da apparire, a guardarla isolatamente,
simile ad una preziosa opera d'arte cinese,
di una bellezza che basta a se stessa.”


Marcel Proust,
À la recherce du temps perdu, La prisonnière





Falpa Promozione Arte” viene fondata negli anni '50 da Guido Gori, e nasce come azienda produttrice di oggetti sacri e cornici. A partire dagli anni '60 inizia a valorizzare il lavoro di alcuni artisti locali, per poi espandere ed ampliare sempre più il proprio interesse per il mercato dell'arte.

L'azienda, attraverso canali divulgativi quali pubblicazioni editoriali, programmi televisivi, partecipazione a fiere e organizzazione di mostre, promuove numerosi artisti contemporanei di prestigio, tra cui: Rodolfo Tonin, Ciro Palumbo, Alfio Presotto, Luca Guizzardi, Antonio Sgarbossa, Claudio Rolfi e Monica Maffei.

L'obiettivo è quello di sensibilizzare il grande pubblico e di sviluppare in Italia e all'estero un mercato teso a sostenere una capillare diffusione di opere d'arte che rappresentino e rispecchino le tendenze della pittura contemporanea.

Un ambizioso progetto di moderno “mecenatismo”, dunque, che viene realizzato in virtù di uno sguardo critico e attento all'evoluzione del panorama artistico dei nostri giorni, e che deve a Sergio Gori la propria linfa vitale.

Tra i vari connubi che “Falpa Promozione Arte” ha intrapreso in questi anni, uno dei più fertili e proficui è senz'altro quello con Antonio Sgarbossa.

Nelle opere dell'artista veneto si assiste a un'analisi minuziosa della realtà, a una solerte e doviziosa celebrazione del dettaglio in quanto simbolo di una dimensione psicologica soggettiva, sospesa in una temporalità squisitamente intima ed evocativa. Il dettaglio, oltre ad essere un significante, e dunque una forma dotata di una propria estetica, è anche significato e rimanda a un contenuto, a una semantica che si articola attraverso l'occhio di chi guarda e vive la realtà. E grazie a un rapporto inscindibile e costante di presupposizione reciproca tra l'aspetto formale e l'aspetto contenutistico racchiuso nei particolari del reale, si definisce e si delinea una delle peculiarità del segno pittorico di Antonio Sgarbossa: l'universo soggettivo.

Le sue opere si fondano su una rara e precisa padronanza della tecnica, e su un “realismo” che, ad un'analisi superficiale, può apparire una mera, seppur ineccepibile, riproduzione della realtà tout court. Invece, a un'indagine più attenta, ci si accorge della portata del linguaggio espressivo dell'artista, che mira a dare risalto non all'oggetto in sé, ma all'oggetto in quanto specchio versatile del mondo interiore dell'osservatore. Così la realtà acquista pregnanza, vita, senso e pulsazione.

Sgarbossa è fedele ad un uso della prospettiva che si rifà agli studi dei grandi maestri dei sec. XV e XVI, perchè, come affermò Leonardo da Vinci,“sempre la pratica dev’essere edificata sopra la buona teorica, della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si fa bene”. Ma il punto di vista presente nei dipinti dell'artista veneto è originale e inconsueto, quasi “fotografico”, e i tagli prospettici non sono quelli “canonici”, bensì risultano arricchiti da innumerevoli ventagli di sguardi possibili, che scompaginano le visuali consuete e carpiscono le infinite sfaccettature dell'universo immanente.

Nelle opere di Sgarbossa vengono spesso raffigurati ambienti urbani in cui la ricerca volumetrica appare impeccabile e armoniosa, e in cui la composizione delle forme e degli spazi crea atmosfere evanescenti ma nitide, silenziose ma eloquenti, surreali ma tangibili, dense di un'eleganza compita e discreta, e immerse in un tempo onirico e irreale, dove la presenza umana non sempre è evidente: talvolta è quasi nascosta, eppure ineludibile.

Nell'uso di luci soffuse, di colori tenui, sfumati e umbratili, e in talune scelte stilistiche e compositive, i suoi paesaggi e i suoi ambienti urbani possono rievocare l'opera di alcuni esponenti della pittura olandese del '600, come Jan Vermeer, e della pittura romantica inglese e tedesca (William Turner, John Constable, Caspar David Friedrich).

Un altro filone estremamente interessante della ricerca artistica di Antonio Sgarbossa è quello della rappresentazione di figure umane, in particolare femminili, in cui la dimensione “intimista” acquista ancor più rilevanza. Qui l'uso raffinato di giochi di luci e ombre e l'impiego di posture ammiccanti e sensuali, che ricordano Edgar Degas, permettono di dare enorme risalto alla sfera emotiva, conferendo ai soggetti una sorta di estraniato e diafano lirismo, che a volte assume i contorni di un'elegia struggente e malinconica, dispiegata nello spazio fugace di un attimo impalpabile e caduco eppure eterno, avviluppato a rapsodiche e misteriose attese. Le donne di Sgarbossa, affondate in un'incertezza mesta e trasognata, somigliano alle donne ritratte dal celebre Edward Hopper, ma appaiono più risolute e dinamiche rispetto a quelle che popolano le tele dell'artista americano. Nei dipinti di Sgarbossa non si percepiscono né rassegnazione, né dolorosa solitudine; al contrario: vi pulsa e vi pullula la vita. L'apparente immobilismo, in realtà, sottende l'idea del movimento: è un preludio, non una condizione inderogabile, e rassomiglia più a un raccoglimento che precede un'azione e ne suggella l'inizio o la continuazione, che a uno stato di rinuncia e abbandono. E l'erotismo velato di cui sono permeate queste opere sottolinea un fermento in nuce, che traspare dalle pose e dai gesti dei corpi, e che comunica la tensione alla vita generata dal tempo infinito di un attimo.

Chiara Maganelli


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