lunedì 6 ottobre 2008

SACRA ERESIA

Il sole custodisce l’orizzonte. Lo culla, lo disegna, lo nutre di luce. E lo sposta sempre più in avanti, lo lancia oltre lo sguardo, dove solo l’occhio della mente lo può raggiungere. Noi, delfini umbratili, sacri e sacrileghi, sempre in bilico tra eresia e santità, tra follia e assennatezza, nuotiamo incessantemente tra gli abissi di un oceano bizzoso e impetuoso.
La linea di questo orizzonte sensuale e seducente si flette, si distende, si cancella, appare, riappare, acquista forme deformi e impertinenti, scorre tra le palpebre socchiuse dell’anima, ondeggia e oscilla nei territori incontaminati e incontenibili dell’immaginazione, e risplende come un diadema scintillante, come un crepitio baluginante di un sorriso sperso tra lo spazio obliquo dell’ineffabile.
La fantasia rotola nell’aria come bolla di sapone diafana e iridescente, si posa su frammenti di pensieri sconnessi e imprecisi, sparpagliati tra nuvole eburnee, per stravolgerne il colore e la sembianza, attingendo trascendenza e misticismo dalle viscere attorcigliate dell’inquietudine.
Le labbra mordono e divorano il frutto sconosciuto e inebriante partorito dalla propria raggiante e vorticosa deità, e le mani forgiano figure fantasmagoriche che si abbeverano alla fonte inesauribile di una sapienza profonda e nascosta.
I grumi dei respiri si sciolgono e scorrono lungo lingue fiammeggianti di musiche adornate di orfici misteri. Si dilata il tempo, si dilata lo spazio. Tutto diviene possibile.
Il seme è nella nostra carne, il fiore è amplesso che sgorga dal nostro sguardo audace e vorace, e la chiave che apre lo scrigno dei segreti ancestrali è racchiusa tra le lande di un’isola aspra e austera dove l’anima teme se stessa e incontra ombre fosche e torve di fantasmi che la perseguitano e la flagellano.
Al di là della nebbia, al di là del gorgo della tempesta, il cielo rabbruscato si apre e si spalanca nuovamente alle piogge pulsanti e sferzanti della luce.
E il sedicente dio ultraterreno, inventato e millantato per renderci schiavi scheletrici e smunti, viene schiacciato da un dio terreno, l’unico vero dio che possa davvero esistere, e che abita la dimora del nostro Io supremo, perfetto e impalpabile, attraversando cicli di infinite metempsicosi.

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