giovedì 24 luglio 2008

L’IMMAGINE DIACRONICA E SINCRONICA COME SEMIOTICA CHE CONFERISCE INTELLIGIBILITA’ AL SOGNO




Il soggetto del gran sogno della vita
è in un certo senso uno soltanto:
la volontà di vivere”


A. Schopenhauer,
Il mondo come volontà e rappresentazione

Il 30 agosto 2008, presso l'ex Chiesa Anglicana di Alassio (SV), l’atelier “Bottega Indaco” di Torino inaugurerà una mostra collettiva di pittura dal titolo “Il volto come incarnazione del sogno”.
In esposizione, fino al 28 settembre, le opere di C. Palumbo, A. Zakamoto, C. Giraudo, L. Giai Baudissard e L. Bardella.
Ad accompagnare il vernissage una performance teatrale e la proiezione di un video.
La performance e il video sottolineano l’importanza estetica ed esegetica dell’immagine (eidos) - già evidente nelle scelte stilistiche e contenutistiche operate dagli artisti - e ribadiscono la sua funzione formale e comunicativa in relazione all’obiettivo che tale esposizione si prefigge: l’indagine del volto in quanto significante per decifrare gli enigmi del Sogno.
Ma per comprendere fino in fondo il percorso artistico e gnoseologico di questa mostra è necessario distanziarsi dalla credenza comune che concepisce la forma in contrapposizione alla sostanza, relegandola a un rango inferiore rispetto a quest’ultima e caricandola di valenze effimere, dispregiative e denigratorie. Qui diventa indispensabile ribaltare questa concezione travisata e distorta, per ripartire dall’assioma secondo il quale forma e sostanza non sono elementi antitetici e dicotomici, bensì concetti embricati e speculari. La forma dunque non è disgiunta dal suo contenuto, ma è un principio attivo di distinzione dell’essenza, “è la causa per cui un ente possiede una certa proprietà” (Aristotele).
Lo spettatore viene rapito e ammaliato da vortici di immagini che, pur correlandosi in modi differenti con la dimensione spazio-temporale, rimarcano l’enorme potere evocativo ed emotivo racchiuso in esse.
E così ha inizio un viaggio attraverso immagini che intrappolano tra le fibre di una tela giochi cromatici di un tempo soggettivo e ipotetico, per poi percorrere immagini che fissano, attraverso la fotopittura, un tempo reale che diviene irreale e relativo, approdando infine su territori pieni di fascinazione dove il tempo delle immagini è dialogico perché non viene fermato in un punto, ma scorre e fluisce, e in un caso risuona in sincronia con il vissuto dello spettatore nel tempo presente, nell’altro, invece, il tempo è una seduzione diacronica e differita, che lo spettatore, grazie al suo illimitato potere creativo e percettivo, può traslare dal tempo passato al tempo presente, rivivificandolo.
Il video “Il volto, incarnazione del sogno” (formato “dv CAM”, durata 4’), diretto da Luca Motolese e Ciro Palumbo, interpretato da Maria Mancini e musicato da Antonello Aloise, si ispira alla tradizione del cinema muto francese degli anni ’30, in particolare alla prima avanguardia cinematografica che vede in Fernand Léger uno dei suoi massimi esponenti. Questo video è una radiografia che scandaglia i segreti e le emozioni di un volto umano. Attraverso effetti digitali di viraggio del colore, dapprima ci si avvicina al volto osservandolo da diverse prospettive e angolazioni, esplorandone ogni recesso, ogni pertugio, ogni lieve sfumatura emozionale, e successivamente ci si addentra nel Sogno, perlustrandone le sue suggestioni più profonde e ancestrali.
Il video ci conduce dentro un’affascinante e ambivalente doppia mediazione sensoriale. La macchina da presa è un occhio nell’occhio, e crea nello spettatore – che diviene il terzo occhio - un particolare effetto percettivo di “distante vicinanza”, ed è proprio in virtù di questo ossimoro che l’occhio umano, paradossalmente, può arrivare a spingersi in territori dove, senza la mediazione dell’ “occhio tecnologico”, non potrebbe forse mai giungere. La macchina da presa, col suo sguardo quasi voyeuristico, permette di cogliere particolari minuscoli, impercettibili e nascosti, servendosi di un gioco ambiguo, illusorio e sottile di cui spesso ci dimentichiamo: non siamo mai noi che guardiamo ciò che desideriamo e scegliamo di vedere; noi possiamo guardare solo attraverso lo sguardo di chi dirige la macchina da presa, e dunque la realtà che osserviamo non sarà mai né la nostra, né tantomeno la realtà oggettiva, ma la realtà di un altro essere umano. E con questo sguardo dobbiamo identificarci e fonderci, perché solo così ci è concesso di poter vedere.
La performance “S-mascheramento di sprazzi di Sogno”, diretta da Marzia Scarteddu e interpretata da Franca Patrucco, Luisa Dante e Aldo Maggiolo (compagnia teatrale “La Bottega dell’Attore”), con musiche di Antonello Aloise, intende dare risalto, attraverso un intreccio di metamorfosi emozionali, alla versatilità e alla potenza espressiva del volto. E dalla vis delle emozioni si confluisce nell’oceano meraviglioso e turbolento del Sogno.
Come i pupi siciliani si muovono e si dimenano in virtù di fili invisibili manovrati da mani misteriose, così in questo spettacolo sarà uno degli attori a “manovrare” gli altri, fornendo l’incipit alle variazioni interpretative messe in scena. Con questa scelta registica si vuole sottolineare l’elemento relazionale e interpersonale che sottende inevitabilmente ogni emozione umana: il pathos emotivo che il volto incarna e comunica ha il sapore del gioco del “domino”, perché le emozioni, come scintille e riflessi di specchi baluginanti, irradiano da un’anima, penetrano in un’altra e rimbalzano su un’altra ancora, all’infinito. Esse dunque si propagano quasi per osmosi da un essere all’altro, vengono assorbite, inghiottite, indossate, e, infine, relativizzate da ognuno di noi, generando un binomio unico e irripetibile, dove insieme a peculiarità squisitamente individuali e personali coesistono caratteristiche universali che permettono, in ogni contesto storico e culturale, di riconoscere e attribuire un significato univoco e inequivocabile alle loro manifestazioni somatiche.

Chiara Manganelli

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