mercoledì 25 febbraio 2009

“LE CINQUE ROSE DI JENNIFER”

“Le cinque rose di Jennifer”, scritto da Annibale Ruccello, precocemente scomparso all’età di trent’anni, va in scena al Teatro Gobetti di Torino dal 24 febbraio al 1 marzo.
La regia è di Arturo Cirillo, anche interprete dell’opera insieme a Monica Piseddu.
Atto unico estremamente denso di sfaccettature, ombre, pathos e contrasti.
Il piano del reale scivola sui binari di un’improbabilità a tratti illusoria e penosa, a tratti riottosa e cupa.
In una stanza esageratamente posticcia, brulicante di fiori, vestiti e oggetti artefatti e pomposi, canzoni melense di Patty Pravo e Mina, si consuma il dramma di un travestito napoletano, avviluppato tra le ragnatele di una menzogna dolce-amara che accarezza e al contempo schiaffeggia la sua indefinita e nebulosa identità.
L’ambiguità aleggia dall’inizio alla fine dello spettacolo, mescolata sapientemente a una sottile ironia che stempera e attenua il dramma di un’inesorabile solitudine.
L’interpretazione che Cirillo dà dell’opera, accentua da un lato l’aspetto grottesco, e dall’altro l’ambivalenza che avvolge l’intera vicenda.
Jennifer attende inutilmente e disperatamente la telefonata di un amante, che mai giungerà, e, per beffa della sorte, il suo telefono squilla in continuazione, a causa di indesiderate “interferenze”. Il fantomatico amante, nella fantasia di Jennifer, è sempre in procinto di arrivare, e lei deve essere sempre in ordine ed “elegante”, pronta per accoglierlo. Così Jennifer, che ricorda molto la Prinçesa di Fabrizio De Andrè, inganna se stessa costruendo un mondo parallelo, fittizio e illusorio, che la distragga dalla crudezza di una realtà dura e dolorosa, quella della solitudine, appunto. In alcuni momenti l’attesa diventa un gioco, una tensione ammiccante e stuzzicante, in altri momenti, invece, diviene un supplizio snervante.
L’unico vero incontro di Jennifer è con il suo “doppio”: Anna, un altro transessuale. E qui il gioco dell’ambiguità si fa ancora più intrigante ed enigmatico, in virtù della scelta registica di far interpretare Anna a un’attrice e grazie anche a uno scambio di vestito, quasi a voler accentuare l’ambivalenza dell’identità sessuale.
E il tutto viene condito da sordidi delitti compiuti da un misterioso serial killer che, dopo aver massacrato le sue vittime (tutti travestiti!), lascia sui loro corpi, come macabra “firma”, cinque rose rosse.
Cirillo e Piseddu si dimostrano, in questo ruvido e sarcastico dramma, attori di estrema finezza interpretativa, grande espressività e notevole comunicatività.
La regia è accattivante e interessante, e la scenografia riesce a trasmettere alla perfezione quell’atmosfera in bilico tra il losco, il patetico e l’equivoco, che l’autore voleva esprimere.

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