giovedì 22 maggio 2008

BOTTEGA INDACO, L'OFFICINA DEI SOGNI




Nel mare, cielo inverso, una lampara.

Un baluginio flebile, uno sprazzo silenzioso. E poi una pioggia di stelle che inonda le pupille. Le palpebre, pesanti sipari polverosi, si sollevano come drappi leggeri di piume d’albatro, e mettono a nudo il mio sguardo. E nello sguardo, milioni di amplessi si consumano: una vertigine di vermiglio che penetra in un oceano di cobalto, un sole giallo che affonda le sue labbra in un cielo indaco, una brezza d’argento che si posa sul candore di una rugiada bianca come nettare di fico. Una danza folgorante che profuma di spezie. Passi leggeri di musiche iniziatiche. Vortici voluttuosi e sensuali, che fanno vibrare i nervi.

Una nuvola mi avvolge. L’aria diventa pulviscolo denso e lattiginoso, e i miei pensieri si infilano dentro i pertugi di un muro, come ramarri atterriti. E divento sensazione pura. La razionalità è bandita da questa metamorfosi.

Orfeo mi ammalia con la sua poesia fantasmagorica, e io, come Euridice, lo seguo, tento di risalire dagli inferi di un mondo plumbeo, senza luce e colori.

Non voltarti, Orfeo, non voltarti mai! Perché l’Amore a volte ha passi lievi, di velluto; è silenzioso e suadente, come la notte, e devi fidarti della sua presenza, perché la paura lo fa riprecipitare nell’Ade, in quel gorgo nero da cui l’avevi strappato.

Canta, scrivi, suona, dipingi, declama.

Ama, ama te stesso, come un Narciso insolente. Corteggia e conquista la dea Bellezza, falla tua, possiedila, spogliala, ghermisci i suoi segreti ancestrali.

Plasmala, trasformarla, mordine la polpa dolce e succosa, fino al nocciolo. E da uno scampolo di Bellezza, tessi altra Bellezza, fino a che il mondo non ne sia satollo.

Vedo un unicorno dagli occhi smeraldini che galoppa in mezzo alle onde, e dallo sciabordio irrequieto del mare, emergono, come isole luminose e abbacinanti, diamanti iridescenti e incandescenti, che brillano alla luce della Luna.

Gli dei dell’Olimpo fluttuano tra la schiuma e la salsedine, e addolciscono e rapiscono la mia anima con affabulazioni stupefacenti. Mi abbandono, mi lascio cullare, mi trastullo tra le braccia avvolgenti del Sogno.

Il sorriso disarmante di un bambino mi prende per mano e mi porta via, dentro universi lontani, eppure vicini. Percorro cerchi concentrici, mi restringo, mi dilato, esco da me, entro in una dimensione in un cui tutto è etereo, infinito, diafano, senza tempo e senza spazio. E ogni cosa acquista senso. Non ho più bisogno di parole, né di maschere, né di pelle, involucri fragili e tenui, che proteggano e difendano la mia anima. Vita pura che palpita, in empatia con il Tutto.


Chiara Manganelli

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