Ombre fredde di tramontana.
Luci sul filo dell'incertezza.
Vortici danzanti di sogni ruggenti, densi e deliranti.
Fiele che si mescola all'ambrosia
e scioglie i suoi grumi
nel ricordo vago e struggente
di un'amarezza voluttuosa.
In gola spilli di dolcezza pungono i respiri.
Sulle labbra convulse
la titubanza si mischia all'audacia
e sputa le spine
di una follia asettica, asciutta e programmata.
L'orizzonte non è altro che un travolgente amplesso tra il cielo e il mare,
dove si staglia la forma imprudente e seducente di un tempo confuso,
emblematico e visionario.
E mi fermo sull'orlo frastagliato della battigia a farmi inghiottire
dalle tempeste gorgheggianti di oceani neri e rabbiosi.
Davanti a me
colori, odori, tuoni, suoni e uragani che ancora non conosco.
Gira, vira, beccheggia ed esplode l'alba,
avvolge i nervi schiacciati e contorti
tra le sue cosce rosa e maliarde.
Evapora la paura,
si dipanano i grovigli di un dolore sordo e ostinato.
Andare.
Ma senza fuggire.
Coltello tra le mani per aprire i gusci dei sorrisi
e recidere le lacrime.
Gustoso stupore e fantasia
da masticare come companatico.
Andare,
per seppellire fantasmi torvi e meschini,
gonfi di sofferenza e scherno.
Andare,
per afferrare e carpire un senso,
strapparlo dalla caparbietà ottusa dell'immobilità,
cercarlo tra volti consumati dal sole,
tra brecce di nostalgia,
tra venti ancestrali,
tra dedali scoscesi.
Scavare, mordere fino a divorare lo scheletro dell'aria e del mare,
e vomitare ogni spregevole riluttanza,
ogni scalpitante e ignorante timore.
Grattare fino a far sanguinare le unghie,
fino a sparpagliare i pensieri tra i ciottoli profumati di sale e vita,
tra le onde vibranti e inquiete.
Lontano da queste nebbie spesse e sterili.
Lontano da questo ghetto di cemento gretto e spento.
Chiara Manganelli
Nessun commento:
Posta un commento