martedì 20 maggio 2008

CADUTA DEL SOGNO INFANTILE

Tra i ricordi del giorno e le attese della notte, mentre il sole ammainava la sua vela violacea e iridescente, una giovane donna stava distesa sulla battigia percossa e picchiata dall'ira giocosa del mare. Ma il furore delle onde si faceva via via più acceso, avido, impertinente, minaccioso, e la

spuma gorgogliava e imprecava, torva e sordida, schizzando nell'aria spruzzi della sua saliva salina.
La donna vomitava veemenza e beatitudine dagli occhi ubriachi di scintillante e disarmante vitalità. I suoi pensieri si riversavano nell'oceano e si perdevano nel brulicante e sommesso sciabordio di acque irrequiete e frementi. Il suo profilo ricordava le linee spezzate e imprecise di schizzi andalusi disegnati con la sanguigna dalle mani ruvide e coriacee di artisti nomadi e fuggitivi. La sua pelle era la mia, il suo corpo era l'ombra di un Io che fui.
Adagiata sull'orizzonte, la sagoma indefinita di una barca altera e altezzosa fendeva l'indaco mosto con precisione chirurgica, come un bisturi fende le carni. La sua stiva racchiudeva balocchi e deliziose prelibatezze.
Ma la sua carena era fatta di legno marcio e consunto, e la chiglia scricchiolava, cedeva e annaspava quando la tramontana schiaffeggiava e oltraggiava l'oceano. Eppure lei aspettava trepidante quella barca, ogni giorno, con fedele, instancabile e doviziosa devozione.
Intrecci infiniti di alghe giacevano inerti ai suoi piedi, come corde tessute per calarsi negli abissi del vento e giungere fino al ventre di un ammaliante scrigno satollo di inimmaginabili segreti. Costellazioni di conchiglie abbarbicate su speroni scoscesi divenivano chiassosi ed esaltanti monili con cui addobbare mani affusolate e inquiete, e vesti con cui circuire e avviluppare corpi discinti e lascivi.
L'incauta principessa ignorava la differenza tra realtà e sogni di realtà.
La clemenza dell'illusione cullava le sue membra e difendeva dal dolore i suoi sospiri fragili.
E il cielo, seppur rabbruscato e plumbeo, per lei era sempre diafano e privo di qualsiasi minaccioso nembo grazie all'alchimia sapiente e paziente di placidi e benevoli folletti incantatori.
I rayogrammi del passato e del futuro si mischiavano e incedevano accompagnati da sardoniche sarabande e seducenti milonghe. Il senso era quella barca traballante, sempre capace di attraccare in un presente lucente e lineare.

Grazie ad essa ogni riflesso d'anima riluceva secondo un equilibrio perfetto e solare.
La chiatta profondeva misteri e avvenenti bellezze rubati a mondi lontani. La sua àncora avvinghiava le spalle scarne della ragazza, ed ella gettava i suoi pianti e le sue gioie in mezzo ai mozzi chini sulla prua.
Spezie, speranze e profumi orientali corrodevano la pelle, e lo squagliarsi dei sogni si celava dietro il suono suadente di dolci nenie africane in cui indugiare e a cui abbandonarsi inerme.
Intanto mille serpenti subdoli si rigeneravano in fondo a biechi baratri intrisi di ambigue metamorfosi, strisciando e sibilando infide promesse. Fu impossibile, ad un certo punto, ignorare l'avanzare inesorabile di ghignanti e crudeli megere che affollavano l'aria ed esalavano putride essenze di sofferenza.
Lei, rabdomante rutilante, riluttò ad accettare la diserzione della magia.
Continuò, caparbia e ostinata, a cercare timidi e teneri rigagnoli d'acqua, anche adulterata.
L'elegia mesta della frammentazione esplose maligna e furtiva.
Un folle e impietoso chiasma mischiò e invertì l'ordine dei sentimenti con subdola voracità.
L'accorata e fumante sofferenza s'incagliò sulle ossa bianche di genti trasformate in tetri e truci fantasmi.
La fine del sogno infantile generò l'inizio dell'adulta realtà sognante.
Mai fu possibile discernere il delirio onirico dalla reale realtà.
Ora due mondi antitetici e complementari camminano paralleli, si intrecciano e si plasmano a vicenda. Dove sia la vita vera ella non è in grado di stabilirlo. Vive sospesa, precipitando, secondo logiche verticali e trasversali, attraverso dimensioni non lineari di temporalità; logiche forse circolari, forse puntuali, dove nell'attimo è racchiusa l'eternità.
E così il mondo interno e quello esterno si fondono e si compenetrano, pur nella loro logorante dualità. Ma allora perché esistono maledetti intrecci di sevizie e di laceranti dolori se i tempi, i luoghi e i mondi aderiscono al nostro Io e da lì si dipanano? Forse perché, per fortuna, non siamo
onnipotenti, ci mancano miliardi di tessere per capire e introiettare il mosaico, e tante di queste tessere sono nelle mani di esseri umani che, per quanto possiamo amare, odiare, sfiorare, lambire, penetrare, sono altro da noi, vivono nel loro tempo, nel loro mondo e nei loro luoghi. A volte ci si incontra e ci si sincronizza su audaci e meravigliose gioie, altre volte si allunga disperatamente una mano ma non ci si riesce a toccare, scalfire, perché entrare in altri universi spesso
è arduo e impossibile. Oppure si crede e ci si illude di stabilire un contatto, di gustare e coltivare l'intimità altrui, ma poi ci si invischia in laidi inganni, in vili e meschini ricatti, in perversi giochi assurdi e stremanti.
E così rimaniamo, come mendichi infreddoliti e intirizziti, fuori, dinnanzi a porte sbarrate, a elemosinare un senso che mai troveremo, nè negli altri, nè, spesso, in noi.


Chiara Manganelli

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