giovedì 22 gennaio 2009
DON CHISCIOTTE, L'ARTE DELL'IMITAZIONE
Al Teatro Nuovo di Torino è in scena, dal 20 al 25 gennaio, “Don Chisciotte”, diretto e interpretato da Franco Branciaroli e prodotto dal Teatro de Gli Incamminati.
Le luci, bellissime e cangianti, sono di Gigi Saccomandi; la curiosa scenografia, che richiama un ambiente da “bar esclusivo di alto rango”, è di Margherita Palle, e i costumi sobri ed eleganti sono di Caterina Lucchiari.
In questo spettacolo dissacrante e ironico, possiamo ammirare, a 360 gradi, l’estrema versatilità di Franco Branciaroli, grande mattatore camaleontico e istrionico.
In un esilarante ed esplosivo atto unico, Branciaroli si fa abile e raffinato emulatore di due mastodontici “mostri sacri” del teatro italiano e internazionale: Vittorio Gassman e Carmelo Bene, rivisitando il “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes in chiave originale e giocosa.
Come il protagonista del romanzo, appassionato di epopee cavalleresche, si trasforma nel celebre cavaliere errante Don Chisciotte della Mancia, così Branciaroli si trasforma in questi due idoli del palcoscenico, tessendo un mirabile “elogio dell’arte dell’imitazione”.
In bilico tra solennità e facezia, egli rimbalza con sbalorditiva disinvoltura tra un Don Chisciotte-Gassman e un Sancho Panza- Bene, calcando la scena da solo per settantacinque minuti, senza mai un attimo di esitazione o di indecisione, riuscendo a rapire e a divertire la platea per tutta la durata dello spettacolo, e mantenendo sempre un ritmo incalzante e vivace.
Con sarcasmo a tratti provocatorio e canzonatorio, a tratti sottile e tagliente, Branciaroli imita questi due grandi attori destreggiandosi rocambolescamente tra Dante, Beckett e i miti greci, servendosi del capolavoro di Cervantes come pretesto narrativo per creare un’apologia giullaresca e paradossale sul senso del teatro e della letteratura.
Dunque dove sta il limite tra realtà e finzione, chi lo decide e perché? E qual è la funzione dell’imitazione intesa come “tragicommedia” catartica contenente mille imprevedibili matrioske?
L’attore, in fin dei conti, è una persona, nel senso latino del termine, dunque una maschera. Cangiante, potente, poliedrica, immersa in un magmatico gioco di specchi in cui si perde e si ritrova. Sia che stia sulla scena di un teatro, sia che stia sulla scena di un romanzo.
In un finale imprevisto e affascinante Branciaroli ci dimostra che tutto si può modificare, tutto si può ribaltare. E si può anche rinnegare l’inchiostro che scrive il destino di un personaggio.
Le luci, bellissime e cangianti, sono di Gigi Saccomandi; la curiosa scenografia, che richiama un ambiente da “bar esclusivo di alto rango”, è di Margherita Palle, e i costumi sobri ed eleganti sono di Caterina Lucchiari.
In questo spettacolo dissacrante e ironico, possiamo ammirare, a 360 gradi, l’estrema versatilità di Franco Branciaroli, grande mattatore camaleontico e istrionico.
In un esilarante ed esplosivo atto unico, Branciaroli si fa abile e raffinato emulatore di due mastodontici “mostri sacri” del teatro italiano e internazionale: Vittorio Gassman e Carmelo Bene, rivisitando il “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes in chiave originale e giocosa.
Come il protagonista del romanzo, appassionato di epopee cavalleresche, si trasforma nel celebre cavaliere errante Don Chisciotte della Mancia, così Branciaroli si trasforma in questi due idoli del palcoscenico, tessendo un mirabile “elogio dell’arte dell’imitazione”.
In bilico tra solennità e facezia, egli rimbalza con sbalorditiva disinvoltura tra un Don Chisciotte-Gassman e un Sancho Panza- Bene, calcando la scena da solo per settantacinque minuti, senza mai un attimo di esitazione o di indecisione, riuscendo a rapire e a divertire la platea per tutta la durata dello spettacolo, e mantenendo sempre un ritmo incalzante e vivace.
Con sarcasmo a tratti provocatorio e canzonatorio, a tratti sottile e tagliente, Branciaroli imita questi due grandi attori destreggiandosi rocambolescamente tra Dante, Beckett e i miti greci, servendosi del capolavoro di Cervantes come pretesto narrativo per creare un’apologia giullaresca e paradossale sul senso del teatro e della letteratura.
Dunque dove sta il limite tra realtà e finzione, chi lo decide e perché? E qual è la funzione dell’imitazione intesa come “tragicommedia” catartica contenente mille imprevedibili matrioske?
L’attore, in fin dei conti, è una persona, nel senso latino del termine, dunque una maschera. Cangiante, potente, poliedrica, immersa in un magmatico gioco di specchi in cui si perde e si ritrova. Sia che stia sulla scena di un teatro, sia che stia sulla scena di un romanzo.
In un finale imprevisto e affascinante Branciaroli ci dimostra che tutto si può modificare, tutto si può ribaltare. E si può anche rinnegare l’inchiostro che scrive il destino di un personaggio.
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